Chiarimenti dell’Agenzia delle Entrate
Con la risposta all’interpello n. 516 del 12 dicembre 2019, l’Agenzia delle Entrate si è pronunciata sulla possibilità di remunerare l’attività di sviluppo sperimentale attraverso l’assegnazione di quote del capitale sociale, nella particolare fattispecie del cosiddetto “work for equity”.
Nel caso particolare ci si riferisce a una startup innovativa che nel corso del 2018 ha svolto attività di sviluppo sperimentale attraverso (tra gli altri) l’opera dell’amministratore e di collaboratori esterni (professionisti titolari di reddito di lavoro autonomo).
L’attività svolta da tali soggetti è stata remunerata dalla società, oltre che in denaro, anche attraverso l’assegnazione all’amministratore e ai collaboratori esterni, coinvolti nel progetto di sviluppo, di quote del capitale sociale, secondo lo schema appunto del “work for equity”.
Tale assegnazione di quote di partecipazione al capitale della società è stata effettuata attraverso un aumento di capitale a pagamento, che è stato liberato attraverso la compensazione del credito maturato per effetto delle prestazioni d’opera svolte in favore della società con il debito di sottoscrizione.
La modalità di remunerazione ha previsto sostanzialmente la trasformazione del credito vantato dai prestatori d’opera in equity con un rapporto di 1 a 10 tra il valore nominale della quota di partecipazione al capitale sociale e il valore economico dello stesso.
La differenza tra il valore delle prestazioni professionali e il controvalore assegnato all’amministratore e ai professionisti esterni in termini di quota di partecipazione al capitale della società sarebbe, secondo quanto sostenuto dalla società istante, solo nominale ed esclusivamente legata al fatto che il capitale nominale è stato definito per un valore inferiore al valore economico della società.
L’Agenzia delle Entrate, dunque, sostiene che la remunerazione riconosciuta all’amministratore e ai collaboratori esterni attraverso l'assegnazione di quote al capitale sociale della startup innovativa, pur confermando la deducibilità ai fini IRES (imposta sul reddito delle società) del costo in capo alla società e la corrispondente imponibilità in capo ai soci, a titolo di compenso per l’attività di amministratore e di compenso professionale, non può essere agevolata ai fini del credito d'imposta ricerca e sviluppo, non rappresentando un costo effettivamente sostenuto dalla società.
La disciplina agevolativa del credito d’imposta ricerca e sviluppo deve essere interpretata secondo principi di salvaguardia della natura di incentivo, della finalità di stimolare gli investimenti in ricerca e sviluppo e dell’adeguato controllo dell’utilizzo dello strumento.
Questi principi legittimano la disapplicazione delle ordinarie regole applicabili in sede di determinazione del reddito d’impresa, qualora in contrasto con la funzione dell’incentivo o in caso generino disparità di trattamento tra contribuenti.
E nel caso di specie, in cui la società ha come controparti amministratore e soci qualificati, si determina, sotto il profilo sostanziale, un apporto di lavoro che si trasforma in capitale di rischio mediante la rinuncia al credito, lavoro che sarà remunerato solo se e quando saranno conseguiti i profitti.
Tale situazione dunque, secondo l'Agenzia delle Entrate, non consente di ritenere effettivi i costi sostenuti dalla società che ha come controparte dei soci qualificati e non economie terze.
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