Presunzione valida anche se i soci sono società
Non viola il divieto di presunzioni di secondo grado l’attribuzione ai soci degli utili extracontabili in una società a ristretta base partecipativa, anche se composta solo da società. Lo ha chiarito la Corte di cassazione con l’ordinanza n. 15274 del 9 giugno 2025, stabilendo che, in presenza di un assetto ristretto, è legittima la presunzione di distribuzione degli utili tra i soci, salvo prova contraria.
Tutto nasce da un processo verbale di constatazione redatto nei confronti di una srl operante nel commercio all’ingrosso di gomma e plastiche, coinvolta in una filiera con un broker di secondo livello. Quest’ultimo vendeva merce sottocosto omettendo il versamento dell’Iva. Tra i clienti risultava anche la srl verificata.
L’Agenzia delle Entrate, sulla base degli elementi emersi e previa interlocuzione via questionario, disconosceva il costo di un’operazione ritenuta inesistente, con conseguente emissione di un avviso di accertamento per maggiori imposte dirette e Iva. Seguiva un secondo avviso, stavolta nei confronti del socio, per Irpef e ritenute non versate, legate alla presunta distribuzione degli utili.
I ricorsi, presentati sia dalla società sia dal socio, venivano rigettati dalla Ctp di Benevento, confermando la validità dell’operato dell’ufficio. Anche la Corte regionale della Campania respingeva l’appello, riconoscendo la legittimità della presunzione di distribuzione degli utili.
I contribuenti ricorrevano in Cassazione, contestando due punti principali:
La qualificazione della srl come società a ristretta base, dato che i soci erano altre società (di persone o di capitali), e non persone fisiche.
L’applicazione della presunzione di distribuzione degli utili in assenza di un vero accertamento di utili extracontabili, essendo oggetto dell’accertamento solo il disconoscimento di un costo.
La Cassazione ha rigettato il ricorso, richiamando una solida giurisprudenza secondo cui:
La presunzione di distribuzione degli utili in società a ristretta base sociale non viola il divieto di presunzioni di secondo grado. Il fatto noto non è l’accertamento induttivo, bensì la ristrettezza dell’assetto societario, che implica un vincolo di reciproco controllo tra i partecipi.
Tale presunzione si applica anche se i soci non sono persone fisiche, ma altre società. Ciò che rileva è il controllo sostanziale e non la forma giuridica. Anche in presenza di “soci di secondo livello”, se questi fanno capo a un nucleo familiare ristretto, si presume la distribuzione degli utili.
La Corte ha chiarito che la presunzione non si limita agli utili extracontabili derivanti da ricavi non dichiarati, ma si estende anche ai componenti negativi di reddito disconosciuti (cioè costi ritenuti indeducibili).
Infatti, un costo non documentato è un elemento che accresce la base imponibile della società e rappresenta una maggiore disponibilità di risorse che, in una società a base ristretta, si presume distribuita tra i soci.
Infine, la Cassazione ha confermato la correttezza dell’imputazione ai soci del maggior reddito al lordo delle imposte societarie. Non era infatti ipotizzabile che tali utili, non dichiarati, fossero già stati tassati in capo alla società.
L’ordinanza conferma un principio chiaro: nelle società di capitali a ristretta base, anche se i soci sono altre società, opera la presunzione legale di distribuzione ai soci degli utili extracontabili, ricomprendendo non solo i maggiori ricavi, ma anche i costi indeducibili.
Una presunzione che può essere superata solo con prova contraria effettiva da parte del contribuente.
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