Quando la condotta è anomala
Il provvedimento di chiusura della partita Iva è giustificato se, dai riscontri automatizzati o dagli accessi nel luogo d’esercizio dell’attività, emergono elementi che possano far supporre l’inesistenza dell’impresa.
Sul fenomeno delle cosiddette società “apri e chiudi”, una recente sentenza della Corte di giustizia tributaria di Prato (primo grado, non definitiva) ha attribuito rilievo non alla sola assenza di una sede, bensì all’anomalia della condotta della società, rappresentativa di quegli elementi che legittimano, ai sensi dell’articolo 35 del Dpr n. 633/1972, la cessazione della partita Iva.
Le società “apri e chiudi” sono scatole vuote, intestate a soggetti nullatenenti, spesso collocate presso sedi inesistenti. Operano senza una vera struttura imprenditoriale, costituite principalmente per generare debito Iva al momento della prima cessione (dopo transazioni intracomunitarie non imponibili), che non viene poi versato all’Erario, prima di sparire in tempi rapidi.
L’articolo 35, comma 15-bis1, del Dpr n. 633/1972 consente all’Amministrazione finanziaria di disporre la cessazione della partita Iva qualora emergano, a seguito di verifiche o accessi, elementi che inducano a ritenere inesistente l’impresa.
Nel caso esaminato dalla Corte di giustizia tributaria di Prato (sentenza n. 163 del 14 agosto 2025), l’ufficio aveva disposto la chiusura della partita Iva di una società che:
era stata costituita da un soggetto privo di beni e con impiego a tempo pieno in altra azienda;
risultava domiciliata presso una società di consulenza, senza magazzini né dipendenti;
pochi mesi dopo la nascita, aveva acquistato oltre 1 milione di euro di merce da più di 100 fornitori;
rivendeva la merce in Turchia, senza margini, agli stessi clienti già legati al datore di lavoro del titolare.
L’ufficio aveva quindi ritenuto che si trattasse di un’impresa fittizia, intestata a un prestanome e funzionale ad altri interessi.
La società ricorrente sosteneva che l’assenza di struttura imprenditoriale fosse giustificata dalla modalità di commercio adottata: acquisti da fornitori italiani e spedizione diretta ai clienti turchi tramite corriere di fiducia. Tuttavia, l’Agenzia delle entrate ha evidenziato anomalie macroscopiche, tra cui il volume di operazioni senza margine e l’assenza di documentazione contrattuale.
La Corte ha confermato la legittimità della cessazione della partita Iva, ritenendo rilevanti:
l’inesistenza strutturale dell’impresa;
la discrepanza tra l’attività dichiarata e quella effettivamente svolta;
il volume abnorme di operazioni in tempi brevi da parte di un soggetto privo di mezzi;
la mancanza di documenti contrattuali e commerciali a supporto.
In questo senso, la sentenza non si è limitata alla mera assenza di sede, ma ha valorizzato il complesso di anomalie comportamentali che rendono l’attività fittizia.
La disciplina si inserisce nell’articolo 273 della direttiva 2006/112/Ce, che autorizza gli Stati membri ad adottare misure per garantire la riscossione dell’Iva e prevenire abusi. La Corte di giustizia UE ha precisato che il rifiuto o la revoca dell’identificazione Iva devono basarsi su seri indizi, valutati nel complesso delle circostanze.
La sentenza della Corte di giustizia tributaria di Prato conferma l’importanza della valutazione concreta e complessiva delle condotte societarie. La cessazione della partita Iva non è giustificata dalla sola assenza di una sede fisica, ma da un insieme di anomalie che dimostrano l’inesistenza dell’impresa come reale soggetto economico.
Fonte: fiscooggi.it
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