Tra applicazione del principio e casi in cui è necessaria l’interpretazione
L’imposta di successione colpisce i trasferimenti di beni e diritti per successione a causa di morte (art. 1 comma 1 del DLgs. 346/90: ”l'imposta sulle successioni e donazioni si applica ai trasferimenti di beni e diritti per successione a causa di morte ed ai trasferimenti di beni e diritti per donazione o altra liberalità tra vivi.”).
È bene ricordare che solo i trasferimenti direttamente derivanti dalla morte e non quelli “occasionati” dalla successione o, appunto, “condizionati” alla morte, ricadono nell’ambito oggettivo di applicazione dell’imposta di successione.
Infatti, in alcuni casi l’apertura della successione (dunque, la morte di un individuo) configura solo la condizione o il termine di un’attribuzione che, difatti, non avviene direttamente per effetto della morte. Tale distinzione è chiara nella sua enunciazione ma non sempre è semplice da applicare.
Cerchiamo di fare chiarezza con due semplici esempi.
Nel caso dell’assicurazione sulla vita, la morte dell’assicurato è la condizione per il pagamento del premio da parte dell’assicuratore, ma l’obbligo di pagamento è conseguenza di un contratto di assicurazione e non per effetto diretto della successione; le attribuzioni, infatti provengono dal patrimonio dell’assicuratore e non dall’attivo ereditario o dai beni del defunto.
In caso di morte del lavoratore, il TFR (trattamento di fine rapporto) deve essere devoluto al coniuge, ai figli e, se vivevano a carico del prestatore di lavoro, ai parenti entro il terzo grado e agli affini entro il secondo grado. Il trasferimento del TFR ai figli, ad esempio, non avviene per effetto della successione, ma per effetto delle disposizioni di legge.
Nei casi sopra elencati, l’acquisto, da parte del beneficiario, avviene per diritto proprio e non per diritto ereditario. E per questo motivo, tali attribuzioni sono sottratte all’imposta sulle successioni.
Questa esclusione, in certi casi, ha trovato riscontro nel Testo unico sull’imposta di successione.
L’art. 12 comma 1 lett. c) del DLgs. 346/90, infatti, esclude espressamente dall’attivo ereditario le indennità:
In altri casi, invece, l’esclusione non viene espressamente ribadita da alcuna norma, ma va ricavata proprio dalla considerazione del titolo giuridico in forza del quale avviene l’acquisto.
Ad esempio, non configura un’attribuzione mortis causa il c.d. “trust successorio”, istituito per trasmettere, alla morte del disponente, il suo patrimonio agli eredi (Cassazione 12 luglio 2019 n. 18831). Si tratta, invece, di un atto inter vivos che non viola il divieto di patti successori di cui all’art. 458 c.c. Quindi, il fatto che, in una determinata vicenda traslativa, sia implicata l’apertura della successione, non è sufficiente a configurare il presupposto oggettivo dell’imposta sulle successioni. È necessario, infatti, valutare se il trasferimento avvenga effettivamente “per causa di morte” oppure (come appunto nel caso del trust successorio) la morte configuri la condizione di efficacia di un trasferimento che costituiva oggetto di un negozio stipulato in vita del defunto.
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