Il test di vitalità va verificato su tutto l’esercizio
Con l’ordinanza n. 27058 dell’8 ottobre 2025, la Corte di Cassazione chiarisce un punto decisivo per le operazioni straordinarie: nelle fusioni con retrodatazione degli effetti fiscali, il test di vitalità deve essere applicato non solo all’esercizio precedente, ma anche al periodo che va dall’inizio dell’anno fino alla data in cui la fusione produce effetto.
L’obiettivo è garantire che la società incorporata sia effettivamente operativa e non una mera “scatola vuota” destinata a trasferire perdite in modo elusivo. Per rendere omogeneo il confronto con la media dei due esercizi precedenti, le grandezze economiche del periodo infrannuale devono essere ragguagliate ad anno.
La controversia nasce dal recupero, per due annualità, di maggiori IRES e IRAP nei confronti di una Srl. La società aveva:
deliberato la fusione nell’aprile 2007;
stipulato l’atto nel giugno 2007;
retrodatato gli effetti al 1° luglio 2006;
riportato perdite pregresse dell’incorporata e ulteriori perdite maturate nel periodo retrodatato.
L’Agenzia delle Entrate ha contestato:
la riportabilità delle perdite della società incorporata;
la deduzione di costi non documentati da fatture da ricevere;
il mancato rispetto del test di vitalità sul periodo intercorrente tra l’inizio dell’esercizio e la data di efficacia della fusione.
CPT e CTR avevano accolto le ragioni della società, ma l’Agenzia ha impugnato in Cassazione.
La Cassazione accoglie il ricorso dell’Amministrazione finanziaria e ribadisce l’interpretazione già espressa nella sentenza n. 1715/2025: se una fusione prevede la retrodatazione fiscale, il test di vitalità deve essere applicato anche al periodo compreso tra l’inizio dell’esercizio e la data di efficacia dell’operazione.
Il riferimento normativo è l’art. 172 del TUIR, in particolare:
comma 7, che stabilisce limiti e condizioni per il riporto delle perdite;
comma 9, che consente la retrodatazione;
le modifiche del DL 223/2006, che hanno esteso il test anche al periodo infrannuale in caso di fusione retroattiva.
Il patrimonio netto rilevante deve essere depurato da conferimenti e versamenti effettuati nei 24 mesi precedenti, per evitare artificiosi incrementi di vitalità.
Allo stesso modo, ricavi, proventi e costi del personale devono superare il 40% della media dei due esercizi precedenti, indice minimo di operatività richiesto dalla legge.
Il test di vitalità serve a impedire fusioni finalizzate solo a trasferire perdite fiscali:
evita l’incorporazione di società inattive;
consente di distinguere realtà operative da “bare fiscali”;
impedisce che la retrodatazione mascheri periodi di totale inattività non rilevati dal test.
Secondo la Cassazione, non considerare il periodo intercorrente tra inizio esercizio e data di efficacia renderebbe il test una formalità priva di utilità, facilmente aggirabile.
Nel caso esaminato, la società non ha superato il test di vitalità per il periodo 2006/2007 fino alla data di efficacia della fusione.
Conseguenza: l’incorporante non può riportare le perdite, né quelle pregresse dell’incorporata né quelle maturate nel periodo retrodatato.
Mancando uno solo dei requisiti di legge, il regime agevolato del riporto delle perdite non può essere applicato.
Fonte: fiscooggi.it
Obbligo anche per le stabili organizzazioni estere in Italia
Si applica la tassazione ordinaria per gli ex dipendenti
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